Continuando la nostra riflessione sulla Lettera ad un Ministro, il Santo di Assisi scrive:
E in questo voglio conoscere se tu ami il Signore e ami me servo suo e tuo, se farai questo, e cioè: che non ci sia mai alcun frate al mondo, che abbia peccato quanto poteva peccare, il quale, dopo aver visto i tuoi occhi, se ne torni via senza il tuo perdono misericordioso, se egli lo chiede; e se non chiedesse misericordia, chiedi tu a lui se vuole misericordia. E se, in seguito, mille volte peccasse davanti ai tuoi occhi, amalo più di me per questo: che tu possa attirarlo al Signore; e abbi sempre misericordia di tali fratelli (Lmin 7-10; FF 235-6).
Sicuramente la parola che spicca in questo paragrafo è: misericordia. Per San Francesco, la misericordia è un attributo essenziale dell’amore Divino[1]. Come Dio è stato misericordioso con noi,[2] così anche noi dobbiamo essere misericordiosi con il fratello sofferente, malato, emarginato e peccatore. Francesco scrive:
Il Signore dette a me, frate Francesco, di incominciare a fare penitenza così: quando ero nei peccati mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi, e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia. E Allontanandomi da loro, ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza di animo e di corpo. E in seguito, stetti un poco e uscii dal secolo (2Test 1-3; FF 110).
Per il Santo di Assisi, “praticare la misericordia” vale più di mille preghiere e penitenze: E in questo amali e non pretendere che siano cristiani migliori. E questo sia per te più che il romitorio (Lmin 5-6; FF 234).
Non si può tornare indietro! Siamo obbligati a praticare la misericordia, perché Francesco usa il verbo amare all’imperativo – amalo -, e questo perché per il Santo l’amore non è un’opzione, è la risposta al comandamento del Signore[3]. Praticare la misericordia è un obbligo[4].
Ciò che è interessante è che questo “usare misericordia” non si esercita con l’uso delle parole, ma è innanzitutto veicolato attraverso gli occhi: … dopo aver visto i tuoi occhi, non se ne torni via senza il tuo perdono misericordioso; due sguardi che si incontrano: quello di colui che deve impartire misericordia (in questo caso il Ministro) e lo sguardo di colui che ne ha bisogno. Due persone, due fratelli, che nonostante tutto possono guardarsi negli occhi, nessuno dei due è più o meno dell’altro, perché entrambi sono peccatori[5]. Solo chi ha sperimentato il perdono può guardare con misericordia.
Francesco ci invita a trasformare il nostro sguardo e a guardare come Dio ci guarda, ad amare come Lui ci ama: con misericordia.
Alla prossima riflessione, in onore dell’800° anniversario della Lettera a un Ministro.
Fra Elio J. ROJAS
[1] Si consiglia di leggere: Papa Francesco, Il nome di Dio è Misericordia. Una conversazione con Andrea Tornielli, 2016.
[2] Cf. Am 1; FF 141-145.
[3] “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato…” (Gv 13, 34-36).
[4] Cf. C. Vaiani, Storia e teologia dell’esperienza spirituale di Francesco d’Assisi. Fonti e Ricerche, Milano 2013, 214-215.
[5] È anche vero che San Francesco è duro ed esigente nei confronti di alcuni frati, fino a parlare di espulsione dall’Ordine per alcuni frati (cf. Rnb XIII); e anche, ad esempio, esprime la sua insoddisfazione nei confronti di coloro che non vivono nell’obbedienza, dichiarando che “non li considera né cattolici né fratelli, che non vuole vederli né parlare con loro” (cf. Lord 44-46; FF 229-230). Come si può comprendere questo alla luce della Lmin? Certamente, San Francesco è misericordioso con il fratello debole che soffre la tentazione e con il peccatore (cf. 2Cel 118; FF 704), ma è duro con i corrotti. Come direbbe il nostro Papa Francesco: “Peccatori sì, corrotti no” (cf. Papa Francesco, Meditazione mattutina nella cappella della Domus Sanctae Marthae. Peccatori sì, corrotti no, Lunedì, 11 Novembre 2013).