A tutti i frati del prim’Ordine nell’occasione lieta degli ottocento anni della Regola non bollata, noi Ministri generali inviamo questa lettera.
Per far memoria grata.
Per rinnovare con passione la nostra sequela del Signore Gesù nella forma di vita di frate Francesco per la Chiesa e il mondo come frati minori.
A lode di Dio, «che è tutto il bene, vero e sommo bene» (Rnb XXIII,9).

Per iniziare

Un altro anniversario… Che non sia la visita obbligata a un museo!

Nel 1221 giungeva al termine una delle tante “storie” che, nella tradizione cristiana, hanno avuto come esito finale la produzione di un testo chiamato “regola”. Qual è il “genere letterario” in gioco? A noi la parola “regola” suscita con ogni probabilità un sussulto interiore di autodifesa, perché il richiamo, più o meno consapevole, è a qualcosa di fisso e schematico, forse anche di sterile. A ben guardare non è così. Leggendo la Regola non bollata si ha infatti la sensazione di orizzonti che si aprono, di prospettive che spalancano l’anima e fanno entrare nel cuore aria fresca: a distanza di 800 anni!

Sì, 800 anni sono passati e inevitabile è la celebrazione di un “anniversario”. E anche qui, subito, un altro moto – stavolta di ribellione – fa capolino in noi: “Un altro anniversario! Cosa servirà mai?”. Facciamo un tentativo: non rispondiamo in anticipo a questa domanda – “a cosa serve un anniversario?” – ma lasciamola sullo sfondo. Piuttosto proviamo a evitare il rischio di celebrare la ricorrenza con un’inclinazione simile a quella di chi fa visita a un museo senza esserne toccato, con vaga curiosità turistica, senza un minimo desiderio di essere intercettato al vivo; magari solo perché “si deve”, perché “quel museo è famoso”. Facciamo invece i “turisti seri”, che in un museo ci entrano sapendo che i capolavori contemplati non lasceranno, dopo, così come si era entrati. Stiamo dunque davanti all’opera d’arte che è la Regola non bollata; un’opera, ahimè, senza data e senza autore!

 

In continuo ascolto…
Passaggi di vita secondo il Vangelo nella Regola non bollata

In presa diretta, senza data e senza autore

Proprio così! Stiamo parlando di un’opera che non ha una datazione puntuale e precisa; o meglio: bisognerebbe richiamare tante date, date diverse per pezzi diversi del testo. Il 1221 è il momento in cui il processo si ferma, la “data ultima”, per così dire. E l’autore è san Francesco? Certamente è lui a far battere il cuore alla Regola, a iniettare nel suo tessuto compositivo la linfa vitale dello Spirito. Ma bisognerebbe meglio dire che si tratta di una “regola d’insieme”, di un’opera pensata e stesa in dialogo con i frati e con i fatti. In anticipo rispetto ai tempi, Francesco d’Assisi fu tra quelli che hanno saputo dare voce a uno degli efficacissimi principi di papa Francesco: «La realtà è superiore all’idea» (Evangelii Gaudium, nn. 231-233). Non abbiamo infatti tra le mani un testo normativo scritto a tavolino, ma qualcosa che è nato in dialogo con la vita; è anzi, prima di tutto, un “pezzo di vita” più che un “pezzo di carta”. La parola scritta cerca infatti di dare risposta a domande nate dall’ascolto continuativo della realtà concreta. Anzi, riconosciamo nella Regola non bollata la genialità di chi ha saputo intercettare “in presa diretta” interrogativi veri e offrire risposte efficaci. Sì, il genio tante volte sta qui: nell’avere la capacità di cogliere domande centrali, non astratte, ma quelle più scottanti e sentite “sulla propria pelle”, in prima persona; per dare a tali domande risposte in grado di convincere, “convincenti” non solo perché “giuste” per quel momento lì, ma anche perché hanno saputo convincere altri, nella distensione dei secoli, a rispondere sulla stessa lunghezza d’onda. Dopo ottocento anni siamo ancora qui, a cercare di rispondere in sintonia con quelle intuizioni, perché “convinti” che ne valga la pena!

Ciò che colpisce, di quest’opera d’arte che è la Regola non bollata, è soprattutto l’indole appassionata. A leggerla, si capisce subito che non dà regolette per fare cose, ma cerca di delineare coordinate per vivere rapporti. Non è un testo per scribi, ma per discepoli (cfr. Mt 13,52). E il rapporto focale che sprigiona al massimo le sue energie vitali è quello con il Signore Gesù, assaporato veramente come tesoro per la propria vita. Assaporato davvero! Corpo e anima! Lo sappiamo: l’inizio della Regola non bollata dichiara senza mezzi termini che regola e vita dei frati minori è «seguire l’insegnamento e le orme del Signore nostro Gesù Cristo (Rnb I,1)», vivere il Vangelo. E capitolo dopo capitolo si snoda tutta una serie di indicazioni – a volte sintetiche, altre volte espresse come con il cuore in mano – affinché questo Vangelo sia vissuto; e per viverlo san Francesco ci invita in tanti modi a dare via tutto, a liberarci di quello che intralcia. Certo, ma solo se siamo stati raggiunti dalla sorpresa e dalla consolazione del Signore Gesù presente nella nostra vita ha senso vivere «senza nulla di proprio» (Rnb I,1); altrimenti è triste pauperismo. «Nient’altro dobbiamo desiderare, nient’altro volere, nient’altro ci piaccia e diletti, se non il Creatore e Redentore e Salvatore nostro, solo vero Dio, il quale è il bene pieno, ogni bene, tutto il bene, vero e sommo bene, che solo è buono» (Rnb XXIII,9); sarebbe triste, forse ci direbbe san Francesco con i suoi primi frati, se volessimo “vendere tutto” senza essere stati prima conquistati dalla gioia di un tesoro simile, che ha superato ogni nostra aspettativa, il tesoro che è Gesù, il tesoro di quello sguardo immensamente simpatico che il Figlio di Dio sempre rivolge a ciascuno di noi, suscitando comunione.

 

Spiritualità e non spiritualismo

Lo spirito del Signore ricerca l’umiltà e la pazienza e la pura e semplice e vera pace dello spirito
(Rnb XVII,15-15)

Tra i “colori” e le “tonalità” più affascinanti di questo testo vi è senza dubbio la sua semplicità. Attenzione: non la banalità di una troppo facile semplificazione, ma l’intelligenza tagliente di chi ha colto un filo rosso in grado di dare mordente, di tenere tutto insieme. E dunque ciò che tiene insieme il corpo della Regola non bollata sembra proprio essere la centralità unitaria della vita nello Spirito. Cosa significa? Anche qui, vuol dire in primo luogo dialogo con la vita! Francesco d’Assisi non sa in anticipo cosa sia lo Spirito Santo e come agisca, ma è la terra aspra del vivere quotidiano a fargli riconoscere il timbro di quella che è la voce dello Spirito. La voce dello Spirito ha un timbro suo inconfondibile e delicatissimo, che san Francesco ha saputo udire con una attenzione di fede massima! E ha fatto sì che la Regola potesse custodire e consegnare percorsi buoni per tutti, per vivere proprio così, avendo lo Spirito del Signore. Possiamo così disporre di alcune indicazioni feconde anche per noi, dopo otto secoli; indicazioni non spiritualistiche, vale a dire non stabilite in anticipo rispetto alla vita, ideologicamente; ma spirituali, perché “catturate” dalle vibrazioni del soffio dello Spirito nell’aria respirata abitando in mezzo agli umani. Quali sono queste indicazioni spirituali? Almeno le più preziose? Potrebbero forse essere sintetizzate attorno ad alcuni punti nevralgici:

  • Ordinaria concretezza: la Regola non bollata affonda le dita nella pasta dell’esistenza, con i suoi fermenti a volte contraddittori e a volte promettenti; in ogni caso non si perde nella precisazione di norme asettiche, e la sua più grande preoccupazione è quella di prendersi cura della vita, in tutte le sue forme. Ha a cuore il cammino della vita! Non la preservazione ostinata di strutture. E anche qui si potrebbe citare: avvia processi, non si impossessa di spazi! (cfr. EG 223)
  • Senza smanie di applausi: in mille modi – e a volte, su questo, sembra quasi che san Francesco parli mettendosi in ginocchio – siamo esortati a prestare attenzione, affinché siamo significativi, sì; ma non preda di una significatività che sia esibizionismo. Ben sapeva il nostro santo quanto sottile e subdolo sia il confine: illudersi che “si stia vivendo il Vangelo” perché si ha molto seguito e molti applausi e molti like o followers sui nostri social network. Necessaria è l’umile vigilanza, dunque, poiché «lo spirito della carne vuole e si preoccupa molto di possedere parole, ma poco di attuarle, e cerca non la religiosità e la santità interiore dello spirito, ma vuole e desidera una religiosità e una santità che appaia al di fuori agli uomini» (Rnb XVII,11-12). A volte, forse, il rischio è quello di chiamare “profezia” quello che è soltanto vetrina scintillante. Ma san Francesco lo sapeva: la profezia non è palcoscenico, e domanda tanta umiltà, tanta trepidazione… se non altro perché i profeti, generalmente, fanno una brutta fine.
  • Una gran perdita di tempo: è sovrabbondante la profusione di parole spese dalla Regola non bollata per fare in modo che i frati non siano avari nello spendere tempo per la preghiera: «Tutti noi frati, custodiamo attentamente noi stessi, perché, sotto pretesto di qualche ricompensa o di opera da fare o di aiuto, non ci avvenga di perdere o di distogliere la nostra mente e il cuore dal Signore. Ma, nella santa carità, che è Dio, prego tutti i frati, sia i ministri sia gli altri, che, allontanato ogni impedimento e messa da parte ogni preoccupazione e ogni affanno, in qualunque modo meglio possono, si impegnino a servire, amare, adorare e onorare il Signore Iddio, con cuore mondo e con mente pura, ciò che egli stesso domanda sopra tutte le cose. E sempre costruiamo in noi un’abitazione e una dimora permanente a lui» (XXII,25-27). Invito, questo, davvero spirituale: quello alla gratuità, alla generosità di abitare tempi apparentemente sterili ma che, in realtà, nutrono la vita spirituale. Senza l’ostinazione di questa fedeltà alla preghiera per san Francesco tutto rischia di diventare farsa, o, nel migliore dei casi, sforzo volontaristico senza letizia.

 

In opposizione all’«anti-Francesco». Solo come fratelli!

Custodite le vostre anime e quelle dei vostri fratelli.
Tutti i frati non abbiano alcun potere o dominio, soprattutto fra di loro
(Rnb V,1.9)

Così come c’è un «anticristo» (cfr. 1Gv 2,18), così un «anti-Francesco». È la dedizione alla qualità della vita fraterna a fare da discriminante? Non solo la vita fraterna, ma certamente la cura o, al contrario, il disinteresse nel viverla pone una differenza. La Regola non bollata non risparmia esortazioni affinché la sequela di Gesù sia vissuta come fratelli. E, quasi una specie di “dogma”, di condensato afferrabile tra le righe del testo, si potrebbe azzardare così: nulla è tanto “anti-francescano” (ma, bisognerebbe dire, anticristiano) quanto uno stile di vita che prenda piede al di fuori di una passione per i vincoli fraterni, l’anima-vita dei quali va custodita!

Francesco sembra proprio intenzionato a far nascere in noi un sano orrore per ogni forma di indifferenza verso l’altro; e tratteggia mille e mille inviti, colti anch’essi dalle strade della vita, perché si possa mantenere accesa nel cuore la persuasione che l’altro è sempre per noi un “debito”, una voce che ci chiama, qualcuno a cui non possiamo non dedicare attenzione. In tantissime forme! Alcune di esse, dopo secoli, mantengono luminosamente tutto il loro incanto:

  • Amabilità senza contraffazioni: un nemico contro cui combattere è quello dei “musi lunghi”, delle chiusure ostinate, delle pose fintamente umili (ma tediose e opprimenti)! «Si guardino i frati dal mostrarsi tristi all’esterno e rannuvolati come gli ipocriti, ma si mostrino gioiosi nel Signore e lieti e cortesi come si conviene» (Rnb VII,16). E dunque bisogna sorridere sempre? Non è questo il punto! Non si tratta di diventare esperti nella contraffazione a buon mercato di sorrisi esibiti a destra e a sinistra; ma sarà fondamentale non lasciarsi tiranneggiare dalle pesantezze del proprio sentire, sempre mobile e inquieto. Sarà dato ascolto anche al nostro cuore quando è triste, certo, ma senza che si debba per questo sbattere in faccia all’altro la nostra scontrosità nuvolosa.
  • Anestesia nei confronti del “troppo sensibile”: tante volte ci sono dei “lebbrosi” da incontrare, delle prossimità aspre e difficili da frequentare. Anche qui: la Regola non bollata mette in guardia e ci invita ad “anestetizzare”, a mettere a tacere quelle voci che, in noi, ci porterebbero a scappare lontano, a prendere le distanze. L’invito rivolto ai frati, invece, è a «essere lieti quando vivono tra persone di poco conto e disprezzate, tra poveri e deboli, infermi e lebbrosi e tra i mendicanti lungo la strada» (Rnb IX,2). Il compito si fa certamente più difficile quando, il fratello da cui non fuggire, è il povero: è la voce che scombina i miei piani, è la mano tesa che mi obbliga a escogitare inedite vie di comunione, sono le piaghe che non si vorrebbero guardare e che invitano ad assumere una sensibilità nuova (per nulla da anestetizzare, questa volta!): quella del cuore compassionevole di Gesù.
  • Una sfacciataggine da recuperare: imparare dal patire. Che la vita fraterna non sia una passeggiata agevole e romantica è una consapevolezza ben presente nella Regola. Ciò che colpisce, a proposito di vita fraterna, è che le difficoltà sperimentate, a volte taglienti, sono per Francesco anch’esse accolte come opportunità; egli direbbe addirittura “una grazia”! La sfida (e questa volta è davvero tale!) è quella di lasciarsi toccare dalle persone che più si temono o che più infastidiscono, senza che sempre le si debba fuggire; può essere che si riesca a imparare qualcosa di nuovo, almeno un pizzico di quella libertà che si gusta quando, forse balbettando appena, riusciamo a “morire per risorgere”.

 

Meno di chi conta meno. Per dire della “minorità”

E nessuno sia chiamato priore, ma tutti allo stesso modo siano chiamati frati minori
(Rnb VI,3)

Frati minori. Ecco il nome di battesimo che san Francesco vuol dare a coloro che scelgono di fidarsi e di vivere secondo questa Regola. Minorità! Parola dai mille significati e dalle inimmaginabili sfaccettature. Possibile trovare una formula sintetica che le racchiuda tutte? Molti ed efficaci sono i tentativi messi in atto per questo sforzo di sintesi. E, senza pretesa di esaustività, probabilmente si potrebbe ipotizzare che “minorità” sia la scelta di volere contare “meno di chi conta meno”. Questa sì è profezia! Questo sì è un nucleo quasi impossibile da vivere, ma che mantiene intatta la sua capacità di metterci in guardia di fronte a ogni rischio di grandiosità o di possesso. Si tratta di una virtù?

  • Più giustamente, forse andrebbe detto che minorità non è tanto una attitudine ascetica solitaria, vale a dire un insieme di opzioni comportamentali – col rischio che siano mortificanti e riduttive; scelte in proprio, quasi alla ricerca di una “interiore perfezione personale”. È piuttosto un modo di stare nella vita; e in tal senso è un modo di stare in relazione: con le persone, con il creato, con Dio. Minore è chi non si stanca mai di riconoscere, a pieni polmoni, che tutto ciò che è proviene da Dio, e dunque non può fare a meno di vivere in “stato di gratitudine”.
  • Sinodalità, discernimento comunitario: sono forse tra le espressioni più ricorrenti nella chiesa di oggi. Lo sappiamo: quando si parla molto di qualcosa è probabilmente perché se ne sente la mancanza, l’urgenza. Oppure perché si ha paura di essere davvero sinodali o si teme il fatto che, facendo discernimento insieme, sempre si deve perdere qualcosa di sé. I termini in gioco sono moderni; san Francesco non li ha conosciuti o usati, e tuttavia i frequentissimi richiami alle varie forme di obbedienza trovano spazio nella Regola non bollata su uno sfondo di ascolto e servizio reciproco: «per la carità che viene dallo Spirito, di buon volere si servano e si obbediscano vicendevolmente» (Rnb V,14). Minorità è anche questo: non siamo noi a produrre in proprio la “verità”, ma ci viene sempre donata “da fuori”, dall’ascolto vicendevole «per la carità che viene dallo Spirito».
  • La sintesi vitale ed effettiva della minorità andrebbe forse riconosciuta nella logica dell’espropriazione, che nella Regola non bollata compare declinata secondo prospettive molteplici e complementari, tutte a qualificare l’atteggiamento di una persona che, per sé, non trattiene nulla: restituire, donare, rendere, lodare, ringraziare, benedire (Rnb XXIII).

In santa estroversione. Andare per il mondo

Quando vedranno che piace a Dio, annunzino la parola di Dio
(Rnb XVI,7)

Essersi donati al Signore, anzi, essersi abbandonati interamente a lui – «E tutti i frati, dovunque sono, si ricordino che hanno donato se stessi e hanno abbandonato i loro corpi al Signore nostro Gesù Cristo» (Rnb XVI,10) – rappresenta un movimento costitutivo nella vita dei minori, chiamati a gioire della loro appartenenza al Signore non singolarmente o cercando comunioni di spirito soltanto intracomunitarie (sempre precarie); ma assecondando l’invito del Signore a essere missionari, a percorrere le strade del mondo per annunciare la Parola di Dio. Nella Regola non bollata non si incontrano tante parole che dicano in che cosa consista la predicazione; non vi sono istruzioni analitiche sulle “cose” da dire. Si può essere sicuri, tuttavia, che nelle intenzioni di san Francesco vi sia il desiderio di favorire una predica fatta con le opere; innanzitutto mediante la rinuncia a ogni forma di rivendicazione presso coloro cui ci si troverà. L’annuncio esplicito della parola di Dio rimane importante, ma nella consapevolezza della responsabilità a non tradire, mediante lo stile dei propri rapporti, il Vangelo proclamato verbalmente.

Anzi, ancor più radicalmente, forse non si è lontani dal vero se si evidenzia nella Regola non bollata un fatto di per sé liberante e sorprendente: tante volte si annuncia il Vangelo senza dire o senza fare, ma accogliendo senza amarezza la propria condizione di poveri, tutti chiamati prima di tutto a ricevere. Si annuncia il messaggio della salvezza mostrando, sulla propria carne, la radicale condizione di limitatezza, sempre bisognosa di misericordia: «Poiché tutti noi miseri e peccatori non siamo degni di nominarti, supplici preghiamo che il Signore nostro Gesù Cristo Figlio tuo diletto, nel quale ti sei compiaciuto, insieme con lo Spirito Santo Paraclito ti renda grazie» (Rnb XXIII,5).

 

Per concludere

Un sigillo mai posto
Non bollata: l’espressione serve a precisare che ci troviamo di fronte a un testo che mai ha ricevuto il sigillo di un’approvazione ufficiale, mediante bolla papale; per tante ragioni. Vale forse la pena profittare di tale mancanza di bolla per richiamarla non solo come dato formale e giuridico, ma anche per valorizzarne la portata esistenziale. Vogliamo cioè rendere grazie al Signore per il dono di una testimonianza – più che di un testo – che rimane “senza confini”, ancora aperto e “generativo”. Sulla carta, la Regola non bollata non può avere seguito, ma può trovarlo nel tessuto vivo di chi accoglie, per «divina ispirazione» (Rnb II,1), l’invito a vivere la propria fede in sintonia con la genialità di san Francesco.

                In mezzo ai tanti travagli del nostro tempo, partecipi degli affanni di tanti uomini e donne nelle più diverse parti del mondo, desideriamo tuttavia mantenere accesa la fiamma ottimistica della speranza cristiana, accogliendo di cuore l’impeto grato di san Francesco che, tra le miserie del mondo, mai rinuncia a benedire il Signore «che solo è buono, pio, mite, soave e dolce, che solo è santo, giusto, vero e retto, che solo è benigno, innocente, puro, dal quale e per il quale e nel quale è ogni perdono, ogni grazia, ogni gloria» (Rnb XXIII,9).

                Invitiamo tutti i membri della famiglia francescana ad unirsi a noi per commemorare l’invito di san Francesco, espresso chiaramente nella Regola non bollata, a vivere una vita guidata dallo Spirito di Dio, radicata nell’esperienza umana e aperta alle sorprendenti amore e vicinanza che Dio offre a coloro che sono disposti a permettere a Lui di essere al centro di tutta la vita.

Onnipotente, santissimo, altissimo e sommo Dio,
Padre santo e giusto,
Signore Re del cielo e della terra,
per te stesso ti rendiamo grazie!
(Rnb XXIII,1).

Roma, 4 ottobre 2020, Solennità di San Francesco d’Assisi

Fr. Michael A. Perry
Minister generalis OFM

Fr. Roberto Genuin
Minister generalis OFMCap

Fr. Carlos A. Trovarelli
Minister generalis OFMConv
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