Siamo dei penitenti di Assisi 
Formazione francescana – ispirazioni (parte 13) 

“Poiché con la professione religiosa hanno rinnovato la loro consacrazione battesimale e il loro impegno nella sequela di Gesù, i frati vivano in spirito di penitenza e di continua conversione per conformarsi in tutto a Cristo ed essere così pervasi dell’amore di Lui verso il Padre e verso gli uomini”[1].

Mi viene spesso in mente la riflessione di una mia conoscente; una suora infatti mi ha confidato che, quando anni fa è andata in missione, era convinta che la sua presenza fosse necessaria per le persone, per la loro fede, per il buon funzionamento delle loro esistenze. Quando, dopo anni di lavoro, è arrivato il momento di lasciare la missione per qualche mese, le è venuto in mente che non poteva andarsene, doveva restare, perché senza di lei questa gente semplice non poteva farcela. Tuttavia quando è tornata al suo luogo di ministero dopo un po’ di tempo di assenza, ha scoperto che la vita andava avanti con il suo solito ritmo. Si è resa conto che tutto andava bene, le persone e le loro attività funzionavano benissimo anche senza di lei. Come ricordava lei stessa: “Il Signore mi ha detto allora che questa missione è prima di tutto per me e per la mia conversione, perché questa gente sta bene sia quando ci sono io sia quando non ci sono…”.

Sono convinto che questo esprima bene il carattere centrale della nostra vita. Ogni missione, ministero e luogo, sono per noi e per la nostra conversione. È solo in tale clima che possiamo offrire le nostre mani al Signore perché operi attraverso di noi e realizzi ciò che vuole fare. Naturalmente, è positivo se siamo coinvolti nel ministero, se creiamo nuove opere pastorali e caritative per le persone o sosteniamo quelle vecchie. Ma è importante ricordare che l’essenza della nostra vita è un cammino basato sulla metanoia, sulla conversione per essere più vicini a Dio, per appartenere a Lui e per fare la Sua volontà. Il punto, quindi, si riferisce al nostro fare penitenza.

La penitenza è un elemento essenziale dell’identità cristiana. È anche una parte importante del DNA della spiritualità francescana. La penitenza è spesso associata a qualcosa di spiacevole: ad atti di mortificazione esterna, al digiuno e talvolta a riti che oggi sembrano un po’ arcaici (flagellazione, cilicio, astinenza dal cibo…). Tuttavia, tutti gli atti esterni, pur essendo importanti e utili, sono secondari nell’esperienza francescana di conversione. San Francesco intende la penitenza in modo primariamente evangelico.

La Sacra Scrittura presenta la penitenza come metanoia, cioè un cammino in cui l’uomo mostra pentimento per essere vicino al Signore. Significa, dunque, una conversione verso Dio, cioè un cambiamento del proprio comportamento in conformità alla volontà dell’Altissimo e ai suoi comandamenti, una continuazione di una vita retta che consiste nell’evitare il male e fare il bene. Nella visione biblica, il cuore pulsante della penitenza è l’adesione interiore a Dio e il desiderio di amarlo. Nel Nuovo Testamento, il cammino della penitenza è iniziato con il Battesimo ed è descritto come una virtù, cioè come un dono dello Spirito Santo che si rinnova quando la persona abbandona i propri peccati[2].

San Francesco fa penitenza proprio in questo modo: ha esperienza che lui stesso è incline al peccato e a concentrarsi su di sé, ma per grazia di Dio intraprende una vita interamente dedicata a Dio e attenta a fare la sua volontà. Per questo si aspetta che i suoi seguaci facciano innanzitutto penitenza e ne portino i frutti. Questo, a sua volta, lo intende come entrare nel cammino dell’amore per Dio, che si traduce nell’intraprendere il servizio al prossimo in uno spirito di amore. “Il Signore dette a me, frate Francesco, d’incominciare a fare penitenza così: quando ero nei peccati mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia”[3]. Il serafico Padre ha abbracciato con i suoi frati uno stile di vita in cui ci si dimentica di se stessi per vivere per Dio e per gli altri, specialmente quelli abbandonati e disprezzati. Siamo dei penitenti di Assisi: questa è stata la prima confessione di coloro che formarono una comunità insieme con San Francesco[4]. Dove soggiornavano i primi frati minori e cosa realizzavano, erano questioni importanti, ma in qualche modo secondarie nella loro vita. Primo, era essenziale fare “frutti degni di penitenza”[5]. Francesco insegnava che se in un luogo la gente non li avessero accolti, dovevano cercare liberamente un altro luogo per fare penitenza secondo la volontà di Dio[6]. Perché non è importante il luogo della loro vita, ma il modo di vivere. La seconda tappa, per così dire naturale, dell’essere con Dio era una missione. Consisteva nell’annunciare in vari modi (con la parola e con la vita) il Vangelo e la necessità di fare penitenza. I penitenti di Assisi prima sperimentano nella propria vita ciò che predicheranno e poi vanno tra la gente per condividere la propria esperienza spirituale. Sono in cammino perché sperimentano la conversione come cammino verso Dio.

Il sapore della penitenza francescana è innanzitutto la docilità alla guida dello Spirito Santo. Con la sua azione santificatrice, l’uomo sperimenta di aver bisogno di mortificazione e abnegazione. In secondo luogo, quindi, nasce l’ascesi per aiutare a sottomettere il proprio corpo e la propria volontà. La penitenza libera dall’orgoglio e alla sua luce è più facile vedere la verità su di sé e come superare le tentazioni e le passioni. È quindi un cammino spirituale in cui il penitente riconosce davanti a se stesso e a Dio la verità della sua fragilità, cerca di sopportare con pazienza le avversità, cerca la pace interiore (per condividerla con gli altri), si prende cura del timore di Dio per non ignorare la sua volontà e resiste a tutto ciò che in se stesso si oppone al Signore. Il cammino della penitenza porta naturalmente alla confessione vissuta come sacramento della Penitenza. Il tutto per amare Dio e donare tutto se stessi al servizio del Signore. Allora l’elemosina, la preghiera, il digiuno e le varie mortificazioni e rinunce diventano un complemento naturale, un aiuto alla santificazione della propria vita[7]. Come esorta San Francesco, senza lo spirito di penitenza, i mezzi esterni non possono cambiare una persona che si agita quando sente un’opinione sfavorevole su di sé, o quando viene privata di qualche cosa[8]. L’obiettivo, quindi, non è tanto la mortificazione esterna, quanto il possesso di quelle virtù che rendono possibile la trasformazione e la ricerca di Dio. Queste virtù, nella formulazione francescana, portano frutto in una profonda vita di preghiera, semplicità, pazienza e spirito di perdono nei fallimenti e nelle persecuzioni vissute. Quindi, qualsiasi cosa facciamo, ovunque svolgiamo la nostra missione, questo è il tempo e il luogo in cui fare penitenza.

Con queste riflessioni, possiamo domandarci: in che misura abbiamo in noi questo primo spirito francescano? Chiediamo all’Autore della metanoia il dono della conversione? Come si manifesta la penitenza nella nostra vita e nei rapporti con i confratelli? Forse ci sono frati verso i quali nutriamo rancore e non riusciamo a perdonarli? Ci concentriamo troppo sul nostro ministero e sulla conversione degli altri, dimenticando la necessità di cambiare noi stessi?

Fra Piotr STANISŁAWCZYK
Delegato generale per la formazione


[1] Frati Minori Conventuali, Costituzioni, Roma 2019, art. 50, § 1.
[2] Cf. Leon-Dufor X., Słownik teologii biblijnej, Poznań 1994, pp. 705-713.
[3] Testamento 1-2 (FF 110).
[4] Cf. Leggenda dei tre compagni 37 FF 1441; Anonimo perugino 19 FF 109.
[5] 2 Lettera ai fedeli 25 FF 190.
[6] Cf. Testamento 26 FF 123.
[7] Cf. Raffaele Pazzelli TOR, Pokuta, in: Leksykon duchowości franciszkańskiej, a cura di Emil Kumka OFMConv, Kraków-Warszawa 2016, pp. 1352-1350.
[8] Cf. Ammonizioni XIV FF 163.